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In una nuova voce del «Lessico intellettuale europeo», l’opera promossa dal CNR che ricostruisce il percorso fino al Settecento delle idee del Vecchio continente, una riflessione su una dote dell’intelletto considerata talvolta identica, talvolta distinta dall’immaginazione
Immaginazione: la parola per noi moderni può anche evocare paura o nostalgia. Ricorda una Parigi turbolenta negli anni di piombo, le strade fumiganti invase dai cortei e le mura con le scritte a vernice rossa «L’imagination au pouvoir!».
Chissà se i ragazzi francesi sapevano di riecheggiare una frase di Napoleone, «L’imagination gouverne le monde»? Credo di sì, allora nei licei francesi si studiava bene e soprattutto la storia patria.
Ascoltiamo qualche poeta: «L’immaginazione è la stessa intelligenza in tutta la sua forza» (Hugo) oppure «L’immaginazione domina il regno del vero e, all’interno di questo dominio, il possibile è soltanto una regione» (Baudelaire). Per Proust l’immaginazione è invece un dono malefico che ingigantisce i nostri terrori e distrugge le illusioni («Invecchiano bene quelli che non hanno immaginazione») oppure un talento banale se invita a «lasciare le belle donne agli uomini senza immaginazione». La parola fantasia al confronto ha perso colpi sul terreno semantico. Oggi possiamo chiamare Fantasia (non certamente Immaginazione!) una barca o una villetta (è una battuta di Starobinski). Si parla di «gioielli fantasia» (che appaiono veri) o «tessuti fantasia» (con colori fantastici) e, persino, anche se la parola è un po’ vecchiotta, di «fantasista» come uomo di spettacolo. Immaginazione continua invece ad alludere al potere più vistoso della coscienza, a una attività alta e creatrice che spazia oltre all’immediato verificabile ed è «condizione essenziale e trascendentale della coscienza», “come scriveva Sartre. Dell’immaginazione non si può fare a meno: scriveva Montaigne che «per immaginare le alte e divine realtà bisogna immaginarle come inimmaginabili».
Ma mettiamo ordine fra queste dichiarazioni di politici, poeti e filosofi con l’aiuto di uno strumento incomparabile qual è appunto l’ultimo nato nella serie del «Lessico Intellettuale Europeo», il volume «Phantasia / Imaginatio», a cura di M. Fattori e M. Bianchi, che raccoglie interventi di Garin (di cui anticipiamo una parte del saggio), Busa, Hamesse, Sermoneta, Starobinski, Armogathe, Robinet e molti altri…
Qualche parola sul «Lessico» (ne meriterebbe molte questo Centro Cnr che opera da anni sotto la guida di Eugenio Garin e Tullio Gregory): dal 1969 sono usciti finora 46 volumi, a cominciare dallo studio di Sermoneta, Un glossarto filosofico ebraico italiano del XIII secolo oramai un «classico», come altri di Maierù, Crapulli, Armogathe, Mugnai, Anna Bartoletti Colombo, Olga Weijers… Fondamentali i volumi che hanno radunato studiosi diversi alle prese con una parola-idea, centrale nella nostra storia intellettuale, come Ordo, Spiritus, Sogno (e prossimamente si parlerà e si scriverà di Idea).
Unico in Europa per vastità di programma e strumentazione, il «Lessico» ricostruisce la storia della cultura e la circolazione delle idee in Europa dall’epoca tardo-antica al Settecento, letteralmente inseguendo le parole, prima inventariate, poi analizzate, confrontate e approfondite nei loro significati dagli specialisti dei vari contesti. .
Emerge così la fisionomia di una cultura europea fondamentalmente unitaria (ottima premessa quindi ad altre unità oggi desiderabili) che si rifà con accentuazioni diverse a una biblioteca compatta, a istituzioni che sorsero negli stessi secoli, l’università a esempio, o il salotto intellettuale del Settecento o la corte umanistica o la bottega fervida di idee e di programmi, dell’editore rinascimentale. Bisogna partire dalle parole, il segno più sicuro anche se ambivalente delle nostre idee, che pur nella loro variabilità quasi capricciosa danno corpo ai concetti e altre volte (non inspiegabilmente per lo storico della cultura) capovolgono i rapporti fra di loro. Un esempio: intelletto e ragione. Intelletto nel latino dei filosofi medievali è «veder dentro» (intus legere), scrutare la realtà, capirla a fondo: ma quale uomo lo potrà mai in questa vita? osservavano i filosofi cristiani. E rimandavano la comprensione piena alla vita ultraterrena o ai rarissimi momenti di estasi (excessus): si può parlare di intelligenza in senso proprio soltanto a proposito di Dio che vede e comprende istantaneamente, senza mediazioni, senza faticosi percorsi e dimostrazioni la realtà che Egli stesso ha creato. Altro è invece il lavoro della ragione: che «discorre», cioè passa da un punto all’altro, costruisce dimostrazioni partendo da premesse e giungendo a conclusioni che si snodano nel tempo, a volte faticosamente, sulla pagina o nei discorsi. La ragione è umana, anzi l’uomo si definisce tale perché è fornito di ragione: l’uomo è animale “razionale e mortale. Questo fino a Kant, ma poi tutto cambia (di sicuro non all’improvviso come appare, ma dapprima insensibilmente e lentamente, sotto l’influenza di intrecci di altre «visioni dei mondo»): Hegel potrà affermare che «là dove l’intelletto divide, la ragione unisce». L’intelletto diventa qualcosa di astratto e rigido, un «falso pensare», nella terminologia idealista e, ancora, per Bergson, l’intelletto è «radicalmente incapace di comprendere il movimento e la vita».
Mentre la ragione «è autocoscienza, verità del sapere… è la certezza della coscienza di essere ogni realtà».
È come se le parole, espressioni di idee, ricevessero d’un tratto vita propria: rifluendo sulle idee stesse le mutassero, scoprendo ed esaltando la loro ambivalenza e poi, ritornando nei discorsi degli uomini riportassero la ricca ambiguità di quel mondo, al quale si erano sforzate di arrivare.
Ma ritorniamo al nostro tema, l’immaginazione e la fantasia. C’è un’area in cui i due termini si sovrappongono e hanno per lo più identico significato. In Shakespeare a esempio, «il dolcissimo figlio di fantasia» come lo chiama Milton, le due parole fancy e imagination) posseggono lo stesso senso.
Nel Sogno di una notte di mezza estate, il folle, l’innamorato e il poeta sono dominati da una identica potenza evocativa che dà corpo alle visioni e nutre l’anima rappresentandole nuove forme, così che mentre il primo vede dappertutto demoni che non ci sono, ii secondo scopre la bellezza di Elena nel volto di una ragazzetta qualunque e il terzo crea un mondo solo a lui noto: è l’opera della fantasia o immaginazione, così il poeta la chiama.
Anche il contemporaneo Francesco Bacone usa indistintamente le due parole: la fantasia, o immaginazione, sta per lui tra la memoria e la ragione. Mentre la storia si rifà alla memoria e la filosofia alle ragione, la fantasia, o immaginazione è forza attiva. È una chiarificazione fondamentale che influenzerà e trasformerà la cultura filosofico-medica rinascimentale fino a tutto il Seicento e oltre: «non si insisterà mai abbastanza sull’importanza della medicina nel costituirsi della Nuova Scienza in Europa, in particolare nel mondo mitteleuropeo e inglese», osserva la Fattori.
Andiamo ora in un mondo lontano dove le cose che siamo abituati a vedere possono svelarsi anche più profondamente perché «fuori dal loro contesto»: è un ottimo insegnamento di Swift, messo in pratica dal suo Gulliver. Andiamo in Giappone. Ci guida in quella lingua e cultura ii saggio della Tanigawa che fa notare come «l’esperienza Zen sia in un certo senso un rapporto immediato con la verità dell’immaginazione» e i mistici giapponesi accordino un ruolo importantissimo alla meditazione che suscita le immagini divine. Il suono Sozo (e l’ideogramma corrispondente) traduce l’«immaginare» delle lingue occidentali ma significa anche «pensare» e «concepire»: quante cose stiano dentro a questa convergenza tutti possono capire.
Un solo rimpianto per una medievalista come me: che nel volume non ci sia un saggio dedicato al significato del termine imaginatio come lo vediamo comparire nel XIV secolo nella espressione ypotesis secundum imaginationem. Partendo dalla meditazione sulla potenza assoluta di Dio, che per definizione non conosce limiti nella sua creazione, alcuni teologi giungevano all’ipotesi di infiniti «mondi possibili» ordinati in strutture diverse da quelle attuali, un ventaglio di entità pensabili anche se non realizzate. Quella imaginatio era senz’altro parola che indicava una attitudine creativa, e non solo in campo religioso e quei teologi, che dagli avversari erano derisi come phantastici, con le loro ipotesi spianavano la strada alla immaginazione di altri mondi e altre leggi scientifiche.
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