Visualizza PDF – 2019-02-03-Corriere-Antonelli
Spread delle parole. Tra i neologismi del 2018 segnalati nel Libro dell’anno Treccani– accanto a ciclofattorino, figliocentrico, no deal, orgasmometro e qualche altro – c’è anche questa espressione, riferita agli effetti negativi che avrebbero avuto sull’economia le dichiarazioni di alcuni politici. Ma spread delle parole si potrebbe chiamare anche la distanza tra il loro significato reale e l’uso che ne vie ne fatto nel dibattito pubblico (e’lite, dignità, pacchia). O il divario sempre più ampio tra l’insieme delle parole da cui siamo quotidianamente bombardati e quelle di cui davvero conosciamo il significato.
Oggi più che mai, il vocabolario rappresenta un’indispensabile mappa del mondo in cui viviamo:un mondo di parole, appunto. Parole dette, ascoltate, digitate, lette in quell’incessante verbodromo che si è soliti chiamare società della comunicazione. Un fiume di parole che scorrono veloci, scivolandoci addosso. Molte, a forza di sentirle, ci illudiamo di conoscerle. In realtà, non sappiamo bene cosa vogliano dire; ma non ce ne preoccupiamo troppo, ci accontentiamo di orecchiarle. Il vocabolario serve proprio a superare quest’inerzia, a uscire da quest’autoinganno: a conoscere il vero valore delle parole. Perché #leparolevalgono, come recita il sottotitolo delNuovo Treccani pubblicato dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana insieme a una nuova edizione del Thesaurus e a un nuovo dizionario di Neologismi.
Le parole e i giorni
Il fiume delle parole è un po’ come quello diEraclito: l’acqua in cui immergiamo è sempre diversa. Moltissime (oltre 3.500 registrate nell’ultimo decennio) sono le parole nuove che sgorgano da va rie fonti: molte (la gran parte) quelle che la corrente porta via con sé. Chi si ricorda cos’era la vuvuzela, parola dell’anno 2010? Che cosa s’intendeva per bombastico, aggettivo molto alla moda alla fine del secolo scorso? Che fine ha fatto il videofonino, di cui si faceva un gran parlare nei primi anni Duemila? Sono proprio le parole effimere – le parole meteora – quelle che più rimangono legate, nell’immaginario collettivo, a un dato momento. Parole che vengono escluse dai dizionari dell’uso (videofonino a dire il vero c’è, ma ormai sembra un relitto) e invece vengono scrupolosamente registrate da quelli dei neologismi. Passato il quarto d’ora di celebrità, chi si ricorderà del petaloso inventato da un bambino delle elementari, del webete coniato da Enrico Mentana o dell’ombrosario creato da Marco Travaglio? Chi userà (oserà) più il berlusconiano bunga bunga?
Confrontando il nuovo dizionario di Neologismi –in cui Gianni Adamo e ValeriaDella Valle schedano le Parole nuove dai giornali 2008-2018- con la raccolta che gli stessi curatori avevano dedicato al decennio precedente, ci si rende conto di quanto rapido sia il cambiamento neologico. Legato alle persone, innanzi tutto: ai protagonisti delle cronache. Nella prima edizione molte invenzioni lessicali partivano dai nomi di Walter Veltroni, di Massimo D‘Alema, di Fausto Bertinotti oltre che di Silvio Berlusconi (da berluscofobo e berlusconizzante a Veltrusconi). Nella nuova edizione a contendere il primato all’inossidabile Berlusconi, ci sono Matteo Renzi e Beppe Grillo (criptogrillismo, ingrillarsi, protogrillino). cambiano anche alcuni dei modi in cui i nomi propri danno vita a nuove parole: basta pensare a casi come Ragginomics (dall’inglese economics, sul modello di Reaganomics) o Renzileaks (dall’inglese leak «perdita, fuga», sul modello di Wikileaks). Più in generale, le parole inglesi aumentano (dal 10 al 2o%), gli anti- sono molti più dei pro-, gli ammazza più dei salva-, i post- più dei pre-, i micro- più dei macro-. A farsi sentire è anche la continua innovazione tecnologica: diminuiscono gli e- e gli web-, prolifera no i social (dal social eating al social networkismo) e un’intera famiglia di parole sorge intorno a Twitter (ultima nata, in un articolo di Michele Serra, la twittatura).
Le parole e le cose
La grande sfida di ogni dizionario, d’altronde, è far coincidere parole e cose: descrivere un intero universo attraverso un certo numero di vocaboli. Quello tra le parole e le cose o idee a cui si riferiscono è uno sfiancante corpo a corpo di cui ogni vocabolario riporta –voce per voce -la cronaca. Lo racconta bene un romanzo giapponese da poco tradotto in Italia: La grande traversata di Miura Shion (Einaudi Stile libero, 2018). A chi, come il protagonista Araki, lavora tutta la vita alla redazione di dizionari «Occorrono pazienza da vendere, un’attenzione maniacale per i dettagli, un amore folle e ossessivo per le parole e, non ultime, una visione molto ampia delle cose e una tempra d’acciaio che permettano di restare ancorati alla realtà e non impazzire>>. Ma tutta quella fatica, quella passio ne, quell’abnegazione sono ben riposte, perché «Senza i dizionari non potremmo che indugiare impauriti al cospetto della vastità di oceani infiniti».
La visione del mondo che ogni vocabolario ci offre passa attraverso una serie di scelte. Nel Nuovo Treccani –diretto dalla stessa Della Valle con Giuseppe Patota – quella di ridurre il numero dei lemmi, nell’intento di descrivere una lingua davvero viva; di semplificare le definizioni, ricorrendo per spiegare tutti i vocaboli a parole della lingua comune; di evitare il vecchio «Vocabolariese», fatto di oscure abbreviazioni e continui rinvii interni; di ricorrere, negli esempi, a frasi tratte dal fuso reale. Un complessivo ripensamento mirato a una fruizione più immediata ed efficace. Alla medesima idea di fondo era ispirato già dalla sua prima edizione il Thesaurus, ovvero il dizionario analogico (realizzato con la consulenza scientifica dello stesso Patota)in cui i vocaboli sono raggruppati in base alle loro parentele di forma o significato. Qui le relazioni tra le varie parole sono rese immediatamente evidenti grazie a una rappresentazione grafica che le dispone in cerchio attorno a una parola-cardine.
Così, ad esempio, la parola democrazia intrattiene relazioni di significato con persone come elettore, deputato, senatore, presidente; cose come manifesto, partito, propaganda, voto; luoghi come piazza, seggio, parlamento (qualcuno oggi aggiungerebbe internet e social network) e relazioni linguistico-lessicali con alcuni contrari: autoritarismo, dittatura, tirannia. Nel breve testo che appare sotto alla ruota delle relazioni, si riportano l’etimo e i diversi significati della parola, una citazione d’autore (qui Giorgio Bassani), i rinvii ad altre parole-cardine (in questo caso dieci: da cittadino a votare, passando –tra l’altro– per elezione, ministro, uguaglianza). C’è, poi, un riquadro dedicato a «parole, espressioni e modi di dire» in cui compaiono anche democrazia diretta, elettronica, plebiscitaria: manca l’ossimorica democrazia illiberale. Questa impaginazione consente di individuare a colpo d’occhio le famiglie che ruotano intorno a mille parole del nostro lessico fondamentale, offrendo un primo orientamento anche a persone poco esperte: bambini, ragazzi, stranieri che stanno studiando la nostra lingua. Forse il futuro del vocabolario va proprio in questa direzione: una rete di rimandi tra le parole che riesca a rendere concreta e visibile la sua dimensione di mappa concettuale. Più che una carta dell’universo, un parlamondo.