Intervista a Giovanni Adamo coord.Osservatorio Neologico della Lingua Italiana
Se ci fermassimo ad ascoltare, oggi, le conversazioni fra nonni e nipoti, capiremmo subito come sono cambiati i tempi e come i tempi hanno cambiato non solo le mode, ma anche il linguaggio. <2.1resto perché sono entrate a far parte del nostro lessico comune parole nuove, neologismi, che si sono radicati ormai nella nostra cultura. A che cosa si deve tutto questo? Innanzitutto non possiamo non prendere in considerazione la velocità dello sviluppo scientifico e tecnologico e, come ci ricorda l’Osservato-rio Neologico della Lingua Italiana, il progressivo superamento degli ostacoli delle diverse forme di comunicazione mondiale. Per comprendere meglio come l’introduzione di queste nuove parole nella lingua italiana influisce nella lingua stessa e nella cultura della penisola abbiamo intervistato Giovanni Adamo coordinatore dell’Osservatorio Neologico della Lingua Italiana.
Il rapido sviluppo dei mezzi di comunicazione ha portato con sé il proliferare di neologismi cari alle nuove generazioni. E mi riferisco, ad esempio, a termini come chattare, twittare, taggare, whatsappare, selfìe. Occorrerà riscrivere i nostri vocabolari, o questi termini sono “mode passeggere”?
Le “mode passeggere“, se così vogliamo definirle, esercitano anche un’influenza nel cambiamento dei costumi, del modo di pensare e della società. Accade, quindi, ed è già accaduto molte altre volte, che queste tendenze si riflettano nella lingua e nel lessico, che sono gli strumenti con i quali si esprime una cultura. Tuttavia, credo che ci troviamo a vivere un fenomeno più complesso, del quale si possono considerare alcuni principali tratti costitutivi: le conoscenze, le nuove tecnologie e la globalizzazione, con i cambiamenti epocali che esse comportano. Dalla metà del secolo scorso a oggi, infatti, l’umanità ha conseguito un progresso nelle conoscenze che – per intensità e concentrazione – non ha riscontri con il passato. Nello stesso periodo si sono sviluppate una serie di tecnologie che hanno amplificato la possibilità di entrare in contatto con persone, popoli e culture prima molto lontani. Tutto ciò si è ben inserito nel processo della globalizzazione – in origine connotato soprattutto come fenomeno economico e politico -, che ha raggiunto una dimensione sociale imprevedibile. Possiamo constatare, infatti, che si va affermando sempre di più la tendenza a un uso sociale dell’informatica, delle telecomunicazioni e, più in generale, delle nuove tecnologie. È evidente come queste nuove possibilità risultino più attraenti per le nuove generazioni, che riescono a impadronirsene con grande facilità. Proprio per questo è sorta nell’inglese d’America l’espressione digita! native, che abbiamo fatto nostra ricalcandola, come avviene anche in molti altri casi, con la locuzione nativo digitale, che designa chi è nato nell’era digitale, con la predisposizione “innata” a usare le tecnologie digitali (forse sarebbe più proprio dire: con la predisposizione a imitare, superandolo, chi si è dovuto cimenta-re a usare le nuove tecnologie con non poche esitazioni, impacci e imperizie). I vari tipi di vocabolari, dizionari e lessici -che si distinguono tra loro, oltre che per le dimensioni, anche per gli utenti ai quali principalmente si rivolgono-devono tener conto dell’innovazione lessicale che si va producendo, seguendo due criteri fondamentali: rappresentare l’evoluzione del patrimonio storico del lessico della nostra lingua e registrare un uso effettivo e stabile delle parole e delle espressioni che entrano a farne parte.
Quanto influiscono internet, carta stampata, telegiornali sul linguaggio delle vecchie e nuove generazioni? C’è il rischio che, a volte, si faccia “un’indigestione” di vocaboli di cui nemmeno si conosce il significato?
L’aspetto più interessante è rappresentato dalla continua evoluzione degli elementi referenziali. Lo sviluppo delle nuove conoscenze, delle quali parlavamo, e l’affermarsi incontrollabile di contesti tecnologici e sociali mutevoli -non solo l’informatica e le telecomunicazioni, ma anche l’economia, la politica e i gran-di cambiamenti mondiali in atto-determinano necessariamente un’elevata mobilità lessicale che si manifesta in una continua oscillazione delle nuove forme denominative, sia sul piano interno alla lingua sia su quello che la mette in relazione con le altre lingue. Non sempre, però, tutto questo favorisce lo sforzo di comprensione richiesto ai lettori e agli ascoltatori, almeno a quelli che fanno parte di una platea più ampia. E, se spesso si è lamentata la perdita di ricchezza espressiva dovuta a un uso troppo semplificato, se non addirittura sciatto, delle articolate risorse grammaticali dell’italiano, con un progressivo restringimento dell’ampio ventaglio dei registri linguistici, non si valorizza mai quanto si dovrebbe l’importanza di un testo scritto o di un discorso chiaro e di facile lettura e comprensione. Occorre essere capaci di dare conto di quanto realmente avviene, cercando di illustrarne le cause e gli scenari che ne costituiscono la cornice, e anche evidenziando le prospettive future. Nella maggior parte dei casi, i mezzi d’informazione assolvono il loro compito con grande cura, assicurando ai cittadini la possibilità di formarsi un’idea corretta e articolata. Anzi, si può affermare che gli articoli dei giornali costituiscono un buon esempio di prosa scritta contemporanea. Occorre, però, ricordare sempre che il ricorso ai termini specialistici, soprattutto se presi in prestito da altre lingue, esige un costante intervento da parte del giornalista o dell’opinionista, per mettere in condizione il lettore di comprenderne il significato e il contesto d’uso.
Il predominio di neologismi per lo più derivanti dal mondo anglosassone può, con il tempo, imbarbarire la lingua italiana, o al contrario, rappresentare un arricchimento?
Sono convinto del fatto che una lingua non possa essere progettata da qualcuno: è un sistema troppo radicato, ampio e articolato per poter subire condizionamenti determinanti. I buoni modelli riescono a imporsi, a mio parere, in modo spontaneo. Ma occorre aggiungere che lo stesso può accadere anche per quelle formule stereotipate ripetute in modo quasi ossessivo, che riescono a contagiare larghi strati di coloro che parlano la stessa lingua. Anche la circolazione di forestierismi costituisce un fenomeno universalmente diffuso, ma è difficile rilevarne in modo adeguato la consistenza numerica: la loro presenza varia da lingua a lingua, anche per influsso di interventi di tipo protezionistico, generalmente conseguenti a organiche strategie di politica linguistica, come accade, per esempio, per il francese e lo spagnolo. Occorre, però, segnalare che, nel lungo periodo, anche queste strategie non riescono a ottenere pienamente i risultati che si erano prefisse. È opportuno, tuttavia, sottolineare come-accanto a un’accettazione che alcuni considerano perfino spregiudicata di elementi lessicali stranieri -l’italiano mostri una reattività assimilatrice capace di integrare nel proprio sistema linguistico forestierismi di struttura totalmente diversa, sia attraverso processi di derivazione ibrida dai prestiti integrali, sia attraverso il meccanismo del calco lessi-cale. E va evidenziato che è proprio questa capacità reattiva quella che maggiormente garantisce la tenuta strutturale di un sistema linguistico.
Parliamo ora dell’Osservatorio Neologico della Lingua Italiana. Come nasce e quali sono le attività principali di cui si occupa?
L’idea di istituire un Osservatorio neologico della lingua italiana risale al dibattito che ebbe luogo a Roma, sotto l’egida dell’Unione latina, nell’Aula dei Gruppi parlamentari di Montecitorio il 24 giugno 1991, in occasione dell'<<lncontro per la creazione di un’associazione di informazione sulla terminologia in Italia». A quell’incontro parteciparono, con altri studiosi e professionisti interessati, Aldo Duro, autore e direttore del Vocabolario Treccani, e Giovanni Nencioni, allora presidente dell’Accademia della Crusca, che ha sempre caldeggiato l’iniziativa. Dal2001, per iniziativa di Tullio Gregory, l’Osservatorio, che coordino con Valeria Della Valle, è diventato un progetto dell’Istituto per il Lessico intellettuale europeo e storia delle idee del CNR. Il suo obiettivo principale consiste nell’individuare e nel documentare le linee di tendenza nella formazione di neologismi e nel verificare la vitalità dell’italiano contemporaneo nell’uso dei meccanismi di produzione e di formazione di parole o espressioni nuove. La banca dati dell’Osservatorio neologico della lingua italiana è costituita sulla base dello spoglio dei principali quotidiani nazionali, e anche di molti a diffusione locale, che permettono di verificare il continuo arricchimento, e quindi di ricostruire la costante evoluzione, del lessico italiano dagli anni Novanta del XX secolo a oggi. Vi sono comprese formazioni di nuovo conio o derivate, internazionalismi, forestierismi, tecnicismi e alcuni neologismi d’autore, in considerazione dell’opera di diffusione e di influenza esercitata dai quotidiani nella lingua d’uso, soprattutto nella loro veste di fonte scritta. I materiali raccolti nella banca dati dell’Osservato-rio sono diffusi attraverso un duplice canale: da un lato attraverso una serie di dizionari di neologismi a stampa, dall’altro attraverso un sito web progressivamente aggiornato (http:/ /www.iliesi.cnr. it/ONLI/).
Pubblicato su Grandangolo – settembre 2015 – pag 27-28