Visualizza PDF 1986-01-15-Passa-L’unità
Come scrivevano i filosofi dei ‘600 e ‘700? Ce lo spiega una ricerca attualissima
ROMA — Volete fare una ricerca sulla “res cogitans” di Spinoza? Non dovrete più spulciare biblioteche e riempire quaderni di appunti. Sarà sufficiente mettere una scheda nel computer della Sperry e battere la magica parola: “find”. Il video vi rivelerà tutte le volte che “res cogitans” compare negli scritti del filosofo e vi offrirà i relativi brani. E’ solo uno dei molti esempi che l’altra sera nella biblioteca della facoltà di Filosofia a Roma, sono stati offerti a un pubblico di studiosi e di ricercatori. Dopo un lavoro di due anni, infatti, si è conclusa la parte latina di un’impresa plurilingue che consiste nella redazione del “Lessico filosofico dei secoli XVII e XVIlI”.
Sono state memorizzate 49 opere filosofico-scientifiche, scritte nella lingua del colti In questi due secoli,
dall'”Ethica” di Spinoza, al “De sapientia” di Vico dalle Regulae di Cartesio all'”Aesthetica di Baumgarten, al “Principia” di Newton, solo per alterne alcune. Sono stati estrapolati 8 mila lemmi. Ovvero, la forma base delle parole, quella che consente la ricerca su un dizionario (ad esempio “andare” è il lemma di “vado”). Nei computer inoltre ci sono tre milioni di “occorrenze”, cioè quelle occasioni in cui due termini compaiono, legati direttamente o indirettamente nello stesso contesto. In conclusione c’è la “summa” filosofica, scritta in latino, di due interi secoli.
L’impresa, portata a termine dal Lessico intellettuale europeo, un centro di ricerca del Cnr del quale è responsabile ll professor Tullio Gregory, ha un fascino decisamente indiscreto: quello di accoppiare tecnologie moderne a materiale antico. Ma i soliti pragmatici potrebbero chiedersi “A che serve, cosa ci guadagno?” E’ una domanda che abbiamo girato al professor Gregory, tenace curatore del progetto. “Chi mai si chiede quanto si ricava dall’apertura di una biblioteca? Sono lavori che rendono sul lungo periodo, in modo indiretto, migliorano li livello culturale e scientifico del paese”. Del resto simili Interrogativi non se li pongono negli altri paesi europei: da Monaco a Lovanio, fino a Parigi è tutto un fiorire di centri di ricerca finalizzata all’analisi dei lessici.
Considerazioni non estemporanee, perché In Italia, come si sa, le spese per la cultura vengono fatte con una logica costi-ricavi da bottegaio. Ecco allora che il Cnr lesina i fondi “proseguendo nella sua linea di progressivo disimpegno dall’ambito umanistico” specifica Gregory. Il Lessico, infatti, ha un fondo di 150 milioni l’anno, cifra che è ferma da molto tempo, malgrado i costi siano enormemente aumentati. A questa ricerca sono addette undici persone tra studiosi e operatori al computer. E solo per memorizzare la parte latina ci sono voluti due anni.
Dicevamo la parte latina. Il progetto Infatti prevede l’analisi e la computerizzazione del lessico anche per quanto riguarda inglese, italiano, francese, spagnolo e tedesco, sempre tra ‘600 e ‘700. Una “banca dati” unica al mondo. “Abbiamo scelto questi due secoli perché sono decisivi per la cultura moderna, significativi per il rapporto tra il latino e le lingue romanze” spiega Gregory. Potrebbe sembrare un lavoro più da linguista che da filosofo, ma si tratta di un’impressione parziale. Come si dimostrò qualche anno fa quando ii centro tenne un convegno sulla parola “Spirito”. Un termine che ha attraversato i secoli esprimendo ogni volta un mondo diverso.
Dedicato al linguisti è un altro “assaggio” che li professor Gregory ha offerto del latino medievale. Sono state prese in esame in un altro tipo di ricerca tutte le traduzioni latine di testi aristotelici effettuate dall’Xl secolo in poi. “Questo lavoro ha consentito di gettare un ponte tra il latino classico e il “neolatino”, parlato nei secoli
successivi, arricchendo i dizionari, anche i più dettagliati, di numerosi termini che finora ne erano esclusi”.
Solo dalla schedatura delle opere aristoteliche Il lessico del “latinorum” è aumentato del 10%.
Conclude Gregory: “So bene che molti obietteranno: ma quello è un latino “sporco” non classico. Penso che sia una falsa questione. Le lingue mutano a contatto con quelle straniere non capisco perché al latino debba essere negata una continuità. Quando Lucrezio scrisse Il “De rerum natura” importò da Epicuro numerose parole che entrarono a far parte del latino classico. Lo stesso è avvenuto nell’XI secolo per opera dei traduttori dal greco e dall’arabo, con non minore dignità”. Questa banca dati del latino permette perciò di trovare tutti gli ”anelli di congiunzione» che hanno portato l’idioma di Cesare, attraverso Il contatto con altre lingue, a diventare italiano. E dimostra che la “lingua non facit saltus”.
Come la natura di Leibniz.
Matilde Passa